Aviaria, negli USA stragi di volatili

Lontano dai riflettori dei media europei, negli USA è in corso una nuova impressionante epidemia di influenza aviaria. Il virus è stretto parente del ceppo H5N1, che dal 2005 fece scattare la psicosi in tutto il mondo trasformandosi in pandemia, grazie alla diffusione tramite gli uccelli selvatici che lo trasportarono dal sudest asiatico in Africa, Europa e America.

Anche in questo caso, si tratta di un ceppo altamente patogeno, che però non ha ancora attirato troppo l’attenzione, poiché per il momento non ha ancora raggiunto la mutazione che aveva permesso al suo precedessore di infettare l’uomo. Colpisce invece con una mortalità elevata gli animali d’allevamento e selvatici. Quanto ai primi, i dati diffusi dal Dipartimento dell’Agricoltura statunitense fotografano un’ecatombe senza precedenti: 48 milioni gli animali uccisi dal dicembre 2014 fino ad oggi in circa 200 allevamenti, per la maggior pare in Iowa e Minnesota, anche se l’epidemia ha raggiunto ben 21 stati.

Tuttavia, una mortalità così impressionante non è dovuta al virus ma all’uomo: allo scopo di contenerne in ogni modo la diffusione, le autorità sanitarie hanno ordinato lo sterminio di milioni di animali, anche laddove vi era un singolo caso di infezione conclamata.

Un contagio che per la verità era e resta comunque pressoché scontato, a causa delle condizioni in cui gli animali sono costretti a vivere negli allevamenti intensivi, tanto che il britannico Guardian si chiede se la forma di allevamento industriale che tutti conosciamo non sia proprio per questo motivo fondamentalmente insostenibile.

Fa riflettere anche il fatto che nonostante le precauzioni prese dopo la pandemia dello scorso decennio e la risposta imponente che le autorità hanno dato dopo la scoperta dei primi focolai del nuovo virus, questo abbia continuato per diversi mesi ad espandersi, superando i confini degli allevamenti e degli stati. Quei capannoni industriali, così isolati dall’esterno, sono stati facilmente penetrati dal nemico invisibile, che una volta dentro quelle mura non ha fatto fatica a contagiare migliaia di animali in pochissimo tempo, laddove non sono stati uccisi prima dall’uomo.

Anche impressionanti sono i metodi con cui le autorità procedono alla rapida uccisione degli animali malati, definita in modo meno cruento “depopolamento”: le galline ovaiole vengono sterminate con il monossido di carbonio direttamente nelle gabbie, mentre per polli e tacchini allevati a terra si adopera una speciale schiuma a base di acqua, del tutto simile a quella utilizzata nei comuni estintori, che viene pompata nei capanni con gli animali e pian piano li sommerge, fino a farli soffocare. Secondo uno studioso, in questo caso la morte avviene in circa un minuto ma altri veterinari indicano dai 3 ai 7 minuti il tempo necessario. Da qui le critiche delle associazioni animaliste, anche se in un documento del Dipartimento dell’Agricoltura americano questo metodo viene giudicato “umano” e si enfatizza il ridotto numero di lavoratori necessari.

A ciò si aggiunga che il veterinario a capo della divisione del Dipartimento per l’Agricoltura durante una audizione al Senato ha dichiarato che un altro metodo da preferire per la sua rapidità ed efficienza (cioè per il costo nullo), consisterebbe semplicemente nello spegnimento dei sistemi di ventilazione, che chiaramente porterebbe gli animali ad una lenta morte per asfissia. Aggiornamento: il 18 settembre 2015 la USDA ha effettivamente aggiunto questo metodo alla lista.

Nel frattempo, sui media tiene banco il quasi raddoppio dei prezzi delle uova e il danno economico stimato per il comparto agricolo. Negli ultimi giorni, anche la carne di pollo e tacchino in alcune città è diventata rara e si prevede una riduzione del 10% del numero di tacchini disponibili per il giorno del ringraziamento.

Al momento, le temperature estive stanno mitigando gli effetti del virus, che secondo gli esperti è quiescente in attesa che con l’autunno arrivino le condizioni climatiche favorevoli per tornare a colpire. Le vittime potrebbero quindi crescere ulteriormente. Va aggiunto che questo nuovo ceppo di influenza aviaria è sbarcato in Europa, con la conferma da parte delle autorità britanniche di un focolaio nel nord-ovest dell’Inghilterra. Già a novembre scorso e febbraio ci erano stati casi di diffusione dei virus negli allevamenti, poi rientrati.

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